lunedì 1 marzo 2010

La tradizione del dono

Non ho tempo che per appuntare un pensiero che mi ha "colpito" mentre affrontavo un testo di Girard René, La pietra dello scandalo, edito da Adelphi: nel primo saggio viene analizzato il "rito" dello scambio dei doni nella società moderna e le eventuali conseguenze che esso comporta.
Come ogni rito esso ha certamente il fine di consolidare i legami sociali, contribuendo nello stesso tempo al buon andamento degli affari. [...] La prova che quello del regalo è un autentico rito ci viene data dalle regole ferree che lo governano. Tali regole esigono un tatto straordinario nell' esecuzione, per la buona ragioneì che sono in fine dei conti contraddittorie.
Esse cercano di conciliare l'imperativo della reciprocità e dell'ugualianza con l'imperativo della differenza, che non è meno essenziale.
I grandi imperativi del dono definiti da Mauss sono sempre presenti nel regalo contemporaneo: dare-ricevere-rendere. Se uno dei due regali ha un costo maggiore dell'altro, la parte sfavorita non osa manifestare il suo disappunto, ma questo non fa che aggravarlo. La parte favorita, a sua volta, non è più contenta e si domanda se il valoresuperiore del regalo ricevuto non costituisca una critica indiretta da parte di chi l'ha donato. Ci si sente sospettati di tirchieria. Se la differenza tra i regali riflette una forte disugualianza economica tra le persone che se li scambiano, il risultato sarà acnora peggiore. Lungi dall'essere soddisfatta, la parte economicamente più svantaggiata sarà divorata dalrisentimento. Avrà l'impressione che la si sia voluta umiliare.

Questo, nella maggior parte dei casi risulta essere vero, a partire dalle società arcaiche, dotate di una gerarchia sociale, che differenzia li strati a seconda del potere e della proprietà. Vi è quindi una valutazione del dono in termini quantitativi.
Ma quello che mi ha sconvolto è stata quindi l'assoluta originalità di una manciata di versi del Vangelo, in cui questa differenziazione viene invertita e rapportata alla possibilità dell'offerente, sempre nell'ottica di Gesù. La parte che riceve è Dio, metaforicamente il tempio e la casta sacerdotale che si occupa dell'esercizio dei riti sacri, gli offerenti sono diversi, dai ricchi mercanti sino a una povera vedova. Le vedove, sin dall'antico testamento sono tra i gruppi sociali più a rischio nella società ebraica. Non a caso più volte il buon praticante viene chiamato a soccorrerle e a servirle nel nome di Dio, tuttavia nella prassi vengono emarginate dai più, forse come categoria non produttiva. Eppure leggete il Vangelo di Marco capitolo 12, vv. 41 e ss.:
Sedutosi di fronte alla cassa delle offerte, Gesù guardava come la gente metteva denaro nella cassa; molti ricchi ne mettevano assai. Venuta una povera vedova, vi mise due spiccioli che fanno un quarto di soldo. Gesù, chiamati a sé i suoi discepoli, disse loro: «In verità io vi dico che questa povera vedova ha messo nella cassa delle offerte più di tutti gli altri: poiché tutti vi hanno gettato del loro superfluo, ma lei, nella sua povertà, vi ha messo tutto ciò che possedeva, tutto quanto aveva per vivere.

Si tratta di un appunto, non di una tesi da dimostrare, ma volevo raffrontare i due modelli di valutazione nella rito del dono.

Nessun commento: