mercoledì 25 febbraio 2009

A scuola di politica con "Il piccolo zar", di Demetrio Volcic

Illustrissimi,
Oggi ho speso il mio tempo a leggere d'un fiato l'opera di Demetrio Volcic riguardante Vladimir Putin, Il piccolo zar.
I pensieri si accumulano scomposti nell'anticamera della mente: da dove cominciare?
Si tratta indubbiamente di una biografia dal taglio moderno, arrangiata a dovere da un musico competente ed efficace. Il soggetto è forse uno dei più scottanti e attuali: l'"uomo nuovo", estremamente faber, a cavallo di una Russia impetuosa e mai addomesticata. Una Russia, per certi versi, nobile, ma sempre rude e pratica. Una Russia atavica e focosa, giovane delle sue risorse e innondata dalle nuove idee che sono straripate dal crollo del muro.
Il cavallo, che da sempre galoppa a fianco dell'ormai stanco ronzino europeo, ha disarcionato la decadente burocrazia sovietico-comunista e si è fatto domare, almeno apparentemente, da un fantino forte, capace e, senza alcun dubbio, pragmatico.
Forse l'indomito stato russo abbisognava dell'interveno di polso di un ex-agente del KGB; forse la lotta agli oligarchi, potenti ombre che hanno reso, nei fatti, grande un'economia in ginocchio, poteva essere condotta solo dal depositario dei segreti di una nazione, raccolti durante il regno di Eltsin; forse il monopolio dell'informazione crea il potere di distruggere ed epurare.
Comunque, tra gli intrighi di corte del Cremlino, Putin ne esce come un Cromwell tutto moderno, un inquisitore infervorato dalla fede nello stato e forgiato dalla struttura meritocratica sovietica: il capitano che ha saputo spiegare le vele di un galeone derelitto, gettando il sovrappeso di falci e martelli, schiacciando i topi che depredavano la cambusa e stroncando a fil di legge l'ammutinamento della ciurma.
La penna del cronista, critica e pungente, delinea, comunque, alle spalle del "piccolo Zar" la nube plumbea e oscura dell'esercizio, a volte sconcertante, di un potere immane: Putin è il cuore di una compagnia riattivata e in pieno utile, la Russia. Egli è in realtà il sovrano di un impero democratico e illuminato.
Forse, e questo vale per alcuni popoli più che per altri (così almeno apprendevo da un amico russo nazionalizzato italiano), solo una spada capace può ridestare il senso civico da cui nasce la democrazia, che per ora, in Russia, come in altri paesi ben più vicini e cari, sembrerebbe più mediatica che reale; forse, alcuni popoli meritano realmente le proprie oligarchie e vagano sonnambuli nell'incoscienza del diritto di poter esprimere la propria volontà: una "beata ignoranza", creata ad arte da forze interne alle realtà nazionali e supportata dall'opera dei media.
Curiosi anche gli "oleodotti" logici che la mente di un lettore potrebbe scavare tra l'attuale situazione russa e il nostro "piccolo stivale".
Un libro, insomma, che insegna come in Russia l'impegno e la povertà siano molte volte il preludio alla risolutezza e alla scaltrezza che conducono al potere. Una lezione di cronaca che svela come l'indice di gradimento del politico risieda nella sua capacità di imbrigliare il senso comune del "giusto" e scoccarlo contro i predoni della res pubblica. Uno scritto che ci fa meditare su come l'esperto politico sappia colpire senza essere colpito, isolare e punire, senza mai offrire il fianco ed essere freddato dagli antagonisti.
Il libro si gusta dall'inizio alla fine: un bianco, più che "un rosso", di facile beva e non meditativo. Persiste nella mente, divenendo l'aperitivo ideale per piacevoli serate con amici.
Sconsigliato vivamente a tutti coloro che della politica fanno un'ideologia contrappuntata di belle parole e grandi gesta, piuttosto che un esercizio molto pratico indotto da somme e sottrazioni di interessi.

Maed

sabato 14 febbraio 2009

Il necromante

Internet fomenta la libera espressione di una vox populi talmente variegata e paritaria da impedire a chicchessia di raggiungere persino un'esile certezza: stiamo assistendo a una esplosione incondizionata e irrefrenabile degli ego della rete che, a lungo andare potrebbe sfociare nella sterilità culturale.
Mai come ora nella storia dell'uomo, si è potuto assistere a una tale stregoneria: senza i limiti dello spazio e del tempo, il necromante amalgama nel calderone dell'era informatica le inquietudini del postmoderno, le formule del positivismo, la matematiche spicciole del liberalismo e, non ultime, le sconcertanti credenze del paganesimo, medioevali reminiscenze che, da sole, riflettono una disorientata coscienza comune, tanto ricca di sollecitazioni quanto priva di fondamenta.
Angeli custodi e tarocchi, azioni e investimenti, riflessioni e pensieri, satanisti e santoni pullulano nella stessa piazza mediatica. Contrattano, schiamazzano, strillano e corrodono la nostra lucidità.
Il necromante si avvale dell'incantesimo della cultura blanda e globale, frammentaria e manovrata per creare un nero di seppia indistinto, originato dalla mera somma delle più disparate esperienze locali. "Ecco a voi la nuova generazione di ingranaggi semi pensanti che gratificano e sostengono le società contemporanee. Essi sono capaci di sapere, del resto non sono forse uomini sapienti sapienti?, ma non sanno cosa credere. Scelgono di vivere, senza averne la certezza. Produrre per riprodursi, pagare per rimanere nella boccia di cristallo. Ed Io li conduco e li trascino nell'irrealtà del reale. Li faccio fluttuare, i pesci nell'acquario: hanno sempre accettato l'acquario. Del resto chi rimane nella boccia vive, chi ne fuoriesce svanisce. Io decido cosa debba pensare degli esiliati il popolo del cristallo".
L'informazione totale promuove l'annestesia della mente, ormai incapace di sostenerne e interpretarne le diverse fonti e il loro valore: Cronaca, Gossip e Fashion (lo dico in inglese) sono tre delle tante divinità figlie del nuovo Apollo, dal crine stampato, che si fondono in un arabesco insipido e le cui spirali sono fulcro di un'ipnosi collettiva.
Stiamo svanendo? O stiamo mutando? Siamo immoti? Siamo cristallizzati in cubicoli tecnologici? Siamo insipidi? Siamo... ma siamo realmente?
Temo per l'umanità intera, che si commuove per la morte di Topolino mentre la scatola quadrata strilla nel vuoto del salotto lo scoppio della terza guerra mondiale.
Temo per noi tutti che, ingranaggi di un economia arrugginita, mai come oggi, nell'Italia della democrazia, siamo lontani dal poter contribuire alle decisioni dello stato: lanciati nella colonizzazione dell'universo della globalità abbiamo schiacciato e sconvolto il sano concetto di patria, quello coscienzioso e non irrazionale.
Temo per il fatto che la reazione chimica a questa follia disorientante, che vede gettati nel colosseo del XXI secolo gli integralisti religiosi, gli Indios, eredi del "buon selvaggio" del Rosseau, e gli studiosi di biogenetica, conduca a quel farmaco che le società organizzate ingeriscono per epurare il cancro della loro inefficenza: la guerra.
In realtà siamo in un perenne stato di guerra, contro il nemico senza volto... il terrorismo. Una guerra che colpisce al di là del limes, al di là del Reno, uno sfogo costante che permette all'impero la giusta fuoriuscita di risentimento dalla caraffa stracolma.
Sono pensieri sconnessi, come sempre del resto. Ma non posso vergognarmene: la sconnessione, come la sua consanguinea "connessione", è parte integrante del nostro vivere tecnologico.

lunedì 2 febbraio 2009

Grafica addio

Non voglio più vedere un computer nella mia vita.

Arriva il momento in cui tutto finisce

Chiudo e riapro me stesso. Spero sia la scelta migliore. Lascio un maestro e incontro la vita.
Maed